Le misure europee di sostegno alla migrazione professionale

Si stima che nei prossimi anni diseguaglianze socio-economiche, cambiamento climatico e conflitti provocheranno un aumento significativo dei flussi migratori in diverse aree del pianeta, Europa inclusa. Mentre il nostro continente si prepara alla transizione ecologica, l’impatto della migrazione sullo sviluppo sostenibile non va sottostimato. I migranti rappresentano già una porzione significativa del tessuto sociale europeo, a cui contribuiscono come lavoratori, cittadini e consumatori, eppure la prospettiva dominante sulla migrazione è quella di un fenomeno da contenere e sottoporre a misure di sicurezza.

L’emergenza sanitaria del 2020 ha dato risalto al ruolo fondamentale dei migranti nell’assicurare servizi essenziali, come quelli legati alla salute e al cibo, che spesso diamo per scontati. La pandemia ha fatto emergere le inter-dipendenze planetarie che rendono il benessere una merce di immenso valore, ma altrettanto rara. Questi stessi lavoratori essenziali sono infatti anche i più vulnerabili perché sono tra le categorie maggiormente a rischio di trovare occupazioni formali e precarie che non concedono un reddito stabile e sicuro, né forme di protezione sociale.

Dato il declino demografico pressoché inarrestabile, l’Europa è destinata a diventare sempre più dipendente dai lavoratori stranieri per colmare le mancanze del mercato del lavoro e preservare la propria competitività. L’Africa, in particolare, è stata identifica come fornitrice principale di manodopera. Il Patto Europeo sulla Migrazione [https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_20_1706], pubblicato alla fine del 2020, pur se criticato dalle organizzazioni della società civile per la scelta di continuare a dare priorità alla prevenzione degli arrivi e all’organizzazione dei ritorni e respingimenti, include alcune revisioni ai programmi di migrazione per lavoratori qualificati e tratteggia (seppur in modo ancora vago) la creazione di Talent Pool e Talent Partnership per attrarre questo tipo di manodopera.

Queste iniziative sembrerebbero proseguire nel solco della Mobility Partnership Facility [https://ec.europa.eu/home-affairs/what-we-do/policies/international-affairs/global-approach-to-migration/mobility-partnership-facility_en] con cui singoli paesi europei possono creare accordi bilaterali di cooperazione con paesi esteri e acquisire professionisti di medio livello [https://www.cgdev.org/blog/eu-migration-pact-putting-talent-partnerships-practice]. Ulteriori passi in questa direzione sono previsti anche dall’Agenda 2030. Diversi obiettivi di sviluppo sostenibile [https://sdgs.un.org/goals] – i cosiddetti SDG (sustainable development goals) – fanno riferimento alla migrazione, prevedendo misure per facilitare la mobilità umana regolare (10), ridurre il lavoro precario e porre fine allo sfruttamento (8), e incrementare il sostegno ai paesi in via di sviluppo che vogliano avviare azioni di capacity building (17). 

Tuttavia, queste proposte hanno scopi limitati e non sembrano concentrarsi sull’impatto della migrazione su settori quali la sanità, la convivenza urbana, la protezione sociale, la cittadinanza, il genere, né tengono conto delle enormi differenze in termini demografici, di competenze professionali, di accoglienza etc, tra paesi di origine e paesi di destinazione della migrazione. Per ultimo, le iniziative menzionate sembrano riguardare solo persone qualificate, e non i lavoratori privi di qualifiche e conoscenze. Quale sarà il posto di questi ultimi nel nuovo framework europeo sulla migrazione che cerca un nuovo equilibrio tra responsabilità e solidarietà?

La prossima edizione della International School on Migration [https://www.migrationschool.eu/] affronterà questi interrogativi, esplorando possibili soluzioni per fare in modo che la transizione ecologica non lasci nessuno indietro.