Inclusione di lavoratori e lavoratrici stranieri/e: necessità o opportunità?

In Italia il 10,6% della forza lavoro è rappresentata da cittadini stranieri; nel settore delle costruzioni, si arriva al 17,2% e nel settore agricolo si raggiunge una percentuale vicina al 18% (dati del IX Rapporto Annuale Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2019). La presenza di lavoratrici e lavoratori di origine straniera nel mondo del lavoro è perciò una realtà che non può più essere negata né ignorata. È necessario, al contrario, pensare all’integrazione della forza lavoro straniera come un processo che può generare nuove opportunità per aziende e dipendenti, e avere un impatto positivo su tutta la società.

A partire da questa constatazione e da questi presupposti, Lai-momo ha organizzato, nell’ambito del progetto europeo MIraGE di cui è partner, il webinar formativo “Inclusione di lavoratori e lavoratrici stranieri/e: necessità o opportunità?”.

L’incontro, rivolto a datori/datrici di lavoro, consulenti e responsabili di risorse umane, ha messo insieme punti di vista diversi e presentato casi concreti: rappresentanti di DHL e IKEA hanno raccontato cosa significa mettere in atto politiche di diversity management in grandi gruppi industriali, mentre un esempio di integrazione in un contesto piccolo e cooperativo è stato presentato dal caso di Cartiera, cooperativa sociale di moda etica; Lai-momo ha presentato aspetti normativi e culturali dell’impiego di personale straniero, mentre Approdo Sicuro ha spiegato il suo approccio per l’inserimento lavorativo di persone fragili; non è mancato il punto di vista dei consulenti del lavoro e dei direttori del personale (Ordine dei Consulenti del Lavoro di Bologna e AIDP) e di una agenzia del lavoro come Lavoropiù.

Sono state tre ore ricche di spunti e idee, da cui sono emerse con forza alcune parole chiave, che hanno attraversato, come un leitmotiv, interventi pur diversi tra loro.

La prima parola su cui vogliamo puntare l’attenzione è formazione. Sono tanti i relatori e le relatrici che hanno sottolineato quanto i processi formativi siano fondamentali per accompagnare un’inclusione reale, e vantaggiosa per tutti, nel mondo lavorativo ma non solo. Ad esempio il tirocinio formativo è un tipo di formazione on the job che, se rivolta a persone straniere, favorisce il processo di integrazione culturale, come rilevato da Margherita Toma, responsabile area lavoro di Lai-momo. Proprio da percorsi formativi, poi, possono nascere esempi virtuosi e a lungo termine di integrazione lavorativa, come quello proposto dalla cooperativa Cartiera, che, partita proponendo formazione in sartoria e pelletteria all’interno di percorsi di accoglienza, ha creato un laboratorio che produce oggetti di alto artigianato in pelle. Spostando leggermente la prospettiva, Andrea Molza (presidente di Approdo Sicuro) ha ricordato quanto sia fondamentale anche la formazione di chi seleziona il personale, che deve imparare a valorizzare le competenze e il vissuto di ciascuno, anche di chi è più fragile. È un aspetto sottolineato anche da Leonardo Apicella, Direttore Operations di Lavoropiù, secondo cui la negoziazione per l’assunzione di lavoratori e lavoratici non comunitari/e è spesso, nella sua difficoltà, un’occasione di crescita professionale e di acquisizione di competenze per chi opera nell’intermediazione.

Altre due parole hanno spesso risuonato, insieme: uguaglianza e dignità. L’uguaglianza di trattamento è il prerequisito perché ciascuno possa ottenere un lavoro degno, e dignità attraverso il lavoro – principio recepito da tempo da IKEA, che da sempre mette al centro la crescita umana dei propri dipendenti, e che sta mettendo a punto un vero e proprio Equality Plan, come anticipato da Carlotta Guerra, Customer Relation Manager di IKEA Bologna. In un altro settore, ma in modo analogo, un’azienda come DHL ha adottato policy di inclusione che hanno alla base il criterio di assunzione diretta, per garantire dignità, continuità, e opportunità di crescita interna, “per dare possibilità a chi arriva in Italia di fare percorsi che diano soddisfazione e serenità”, come racconta Piermattia Menin, Direttore HR DHL Italia.

A fare da contraltare a queste buone pratiche, il lavoro nero, o grigio, nelle cui maglie spesso finiscono molti e molte migranti, come sottolineato da Pierpaolo Redaelli, Presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Bologna e da Lisa Borghi (Assindatcolf), che ha fornito uno spaccato sconfortante del lavoro domestico in Italia: secondo una ricerca svolta nell’ambito del progetto Prodome, si stima che in Italia vi siano circa 2 milioni di impiegati nel lavoro domestico (tra cui il 30% migranti), ma meno della metà (900.000) risultano regolarmente iscritti all’INPS.

Infine, abbiamo incontrato alcune parole importanti, piene, che allargano la prospettiva: quelle evocate da Isabella Covili (presidente nazionale AIDP), secondo la quale un luogo di lavoro che valorizza le diversità spesso è anche “un’azienda bella e dove si è felici”. E poi una parola che spesso genera ansia, paura o che addirittura è negata, alle persone migranti e non solo: futuro. Uno sguardo aperto verso il futuro si può acquisire anche – per molti e molte soprattutto – attraverso percorsi di inclusione lavorativa, perché “grazie al lavoro mi sono reso indipendente e posso pensare a un futuro migliore”, come ha detto, con disarmante chiarezza, Bassirou Zigani, artigiano di Cartiera.