A Castenaso la lotta dell’Iran con il film di Jafar Panahi e la filmmaker Somayeh Haghnegahdar

“In Iran realizzare un film è difficile, anzi, è pericoloso”. Così Somayeh Haghnegahdar, filmmaker iraniana residente in Italia, ha iniziato la sua testimonianza davanti al pubblico di Castenaso.

Con la serata di ieri 13 dicembre si è concluso il ciclo di eventi rivolti alla cittadinanza previsti dal progetto “Mi prendo le mie opportunità”, realizzato dal Comune con coop. Abantu, coop. Lai-momo e l’associazione Senza Violenza anche con formazioni per dipendenti comunali e insegnanti e corsi di alfabetizzazione informatica aperti a tutte le donne, di ogni età e provenienza.

L’incontro ha avuto luogo al Cinema Teatro Italia di Castenaso in occasione della proiezione del film Gli orsi non esistono del regista iraniano Jafar Panahi, Premio speciale della Giuria al 79° Festival di Venezia, che Panahi non ha potuto ritirare personalmente perché incarcerato in Iran.

Oltre a Somayeh Haghnegahdar, sono intervenute Tiziana dal Pra, attivista per i diritti delle donne e l’assessora al welfare LaurianaSapienza.

Somayeh ha raccontato cosa significa essere donna e lavorare come artista nell’Iran di oggi: “C’è il Ministero della Cultura dell’Orientamento islamico che controlla tutto, e se nel tuo film parli di diritti, di questioni femminili, ti convocano e ti chiedono di dare spiegazioni”, mentre Tiziana ha portato la sua testimonianza come donna a fianco ad altre donne nelle lotte per la libertà e i diritti di tutte, a cominciare dalla libertà di non portare il velo.

Numerosi gli interventi dal pubblico, domande sulla rivoluzione in corso in Iran e sulla sua repressione, e commenti al film di Panahi, a cui dal 2010 è vietato lasciare il paese e girare e che con escamotage e trovate geniali riesce a produrre pellicole insinuandosi nella società iraniana, eludendo le maglie della dittatura. Considerato l’erede del maestro Abbas Kiarostami, Panahi nel film rappresenta sé stesso ospite in piccolo villaggio al confine con la Turchia ancora molto ancorato alle tradizioni, dal quale gira a distanza un film con persone realmente candidate all’emigrazione irregolare. Il villaggio è la metafora dell’Iran: prigioniero di assurde tradizioni, si oppone all’attività del regista ed è sconvolto dal suo tentativo di rappresentarlo.